Giovanni abita poco distante da casa mia. Ci fermiamo spesso a bere un caffè insieme, così ci lasciamo andare a qualche confessione. Tra conoscenti si può, anzi è preferibile per poi divenire amici. E noi ci stiamo impegnando, sappiamo che prima o poi ce la faremo.
Anzi negli ultimi tempi abbiamo, di comune accordo, pensato d’intensificare questi incontri proprio per arrivare al più presto a questo traguardo.
Un problema, però, si è naturalmente posto sin dai primi giorni: quando ci saremmo potuti definire dei veri amici?
Dopo ampia e articolata discussione, sempre di comune accordo, stabilimmo che dopo cento caffè, e dopo altrettante chiacchierate, si sarebbe materializzato, tra noi, questo nuovo status.
Vedendosi ogni giorno, nel giro di tre mesi o poco più, avremmo raggiunto l’obbiettivo.
Per i primi tempi tutto andò bene e facilmente arrivammo a quota venticinque incontri. Poi fui colto da una forma perniciosa di influenza sicché saltammo una settimana. Dopodiché ci vedemmo altre cinque volte e a lui venne il mal di schiena. Un’altra settimana di fermo.
Sarà stato a causa di queste pause non programmate ma, tra noi, inizio a serpeggiare un sentimento di stanchezza. Arrivavamo in ritardo agli appuntamenti (che duravano sempre meno) e svogliatamente parlavamo del più e del meno, guardando fissi lo schermo del cellulare.
Comunque eravamo bene determinati a non rinunciare al nostro proposito per potersi finalmente dire amici. Quello era il nostro obiettivo e ci saremmo arrivati a tutti i costi.
Dopo un breve conciliabolo e qualche accesa reciproca recriminazione ( che non si conciliava affatto con i nostri propositi di amicizia) venne fuori un’idea preziosa e singolare. Per raggiungere il nostro fine ci saremmo fatti sostituire.
Sì proprio così, due sosia avrebbero continuato, al posto nostro, questi incontri alla caffeina. Deciso. E così fu.
Senonché arrivati verso i sessanta rendez-vous anche i sosia furono stufi e cercarono, a loro volta, due sostituti. Questi ultimi, però, arrivarono fino a ottantacinque incontri quando, sfiniti, lasciarono l’onere ad altri, che arrivarono a novantacinque prima di affidare, ad altri due simili, l’onore di arrivare, faticosamente, a cento.
Era passato un anno e mezzo dal nostro primo incontro. Malattie, impegni imprevisti e difficoltà a trovare le sostituzioni avevano, infatti, richiesto molto molto tempo.
Una telefonata anonima alle sei del pomeriggio mi avvisò del raggiungimento dell’agognato obiettivo. A Giovanni, che intanto aveva perso il mio numero di cellulare, lo avvisarono, l’indomani, i proprietari del bar.
Non vi sto a raccontare altri particolari, vi basti sapere che ci fu chiesto, infine, di saldare il conto delle consumazioni.
Da quel momento non ho più rivisto nessuno.
©2023 Gianfranco Brevetto